Si chiude con uno straordinario successo di presenze in sala ed agli eventi off la XV edizione del Terra di Tutti Film Festival, a testimonianza della voglia di cinema sociale e partecipazione che contraddistingue il nostro pubblico. Nelle serate finali sono stati conferiti i 4 premi e la menzione DAMSLAB.
Il Premio Giovanni Lo Porto, assegnato da una giuria composta da Chiara Boschiero, Fabio Lovino e Renata Ferri, è stato conferito a THE SILHOUTTES di Afsaneh Salari con la seguente motivazione:“Abbiamo deciso di premiare la cineasta iraniana Afsaneh Salari, poiché ci auguriamo che continui a documentare con la grazia e la maestria con cui ha raccontato una famiglia di profughi afgani in Iran, declinandone i sentimenti di appartenenza, di unione ma anche di disagio e inquietudine. La regista ha saputo cogliere le differenti sfumature con cui le diverse generazioni accettano o rifiutano il senso di estraneità del vivere in una terra che non è la propria, spesso vittime di discriminazioni, ora sottili, ora più aggressive. Ci ha mostrato con sensibilità non comune, i legami dettati dal bene, il desiderio di proteggere l’altro, l’apprensione per i pericoli, il rispetto e il sostegno per il tentativo del protagonista di disegnare il proprio destino. Nell’alternanza tra la cronaca drammatica e lo scorrere lento della vita privata, The Silhouettes si afferma come un film coraggioso che affida a toni sommessi la narrazione del dramma, accompagnando lo spettatore dentro le vite degli altri con empatia e partecipazione. La fotografia nitida e luminosa offre uno sguardo interpretativo libero e senza pregiudizi, la camera si muove con la giusta lentezza restituendo la scansione del tempo reale; primi piani e ambienti si alternano con esterni dolenti e precari, merito di questa regista sapiente e decisa.”
Menzioni speciali della giuria a COURAGE di Aliaksei Paluyan “per il suo approccio sensibile e umano a una rivoluzione in corso, quella delle massicce proteste che hanno inondato le strade bielorusse nell’estate del 2020, subito dopo le elezioni presidenziali truccate che hanno prolungato ulteriormente il governo di Alexander Lukashenko. Si tratta di un ritratto magistrale di una generazione ma anche da un punto di vista universale del coraggio e della tenacia necessari per portare avanti ogni lotta politica finalizzata a un cambiamento collettivo” ed a HOLY BREAD di Rahim Zabihi “per il coraggio, il rispetto e la maestria fotografica con cui il regista ha saputo approcciare e raccontare la schiavitù a cui sono sottoposti i “Kulbar” curdi, corrieri illegali di frontiera che si arrampicano quotidianamente su strade quasi impraticabili per trasportare merci di consumo e guadagnare una miseria. Una storia simbolica che fa riflettere sulla violenza generata dal capitalismo, e che è costata la vita allo stesso regista, ucciso misteriosamente nel 2018.”
Il Premio Benedetto Senni, assegnato dai componenti dell’associazione PBS, è stato conferito a OPHIR di Alexandre Berman e Olivier Pollet con la seguente motivazione: “Ophir è il vecchio nome di questa rigogliosa isola del Pacifico occidentale, ora Bougainville. 300 mila abitanti, è l’isola più grande dell’arcipelago delle Isole Salomone.Per restare colpiti basterebbe conoscerne la storia, anche a grandi linee, di questa isola… che poi è comune a molte altre storie, ma che per le caratteristiche geografiche, di isola appunto, risulta con maggior chiarezza. Ma questo documentario ha qualcosa in più: la narrazione si articola in modo sapiente, muovendosi con agilità tra immagini e documenti di repertorio, e testimonianze attuali, perché la vicenda tutto sommato ancora non è conclusa. Sfruttamento delle risorse, land grabbing, coscienza, rivoluzione, autodeterminazione, indipendenze/sovranità. Alcuni dei temi sui quali si vola guardando il documentario. Emerge la lucida e a volte agghiacciante freddezza con cui viene pianificato lo sfruttamento delle risorse e la sottomissione degli abitanti e la trasformazione di questi in consumatori. Questo documentario è in grado di stimolare riflessioni non banali anche nelle persone che hanno maggior confidenza con questi temi. Depone dei semi, degli spunti di riflessione a diversi livelli che possono veramente stimolare idee e interrogativi che tutti dovrebbero porsi.”
Il Premio Voci di giovani invisibili assegnato da una giuria di dipendenti EmilBanca è stato conferito al film 9 HUMANS FROM GAZA di Luca Galassi “per come ha saputo raccontare speranza e normalità in un territorio difficile come quello di Gaza. La guerra non uccide i sogni, e le storie di coraggio e umanità che arrivano da Gaza ci ricordano che si può parlare della morte anche celebrando la vita.”
Il Premio Voci di donne invisibili assegnato da una giuria popolare di soci Coop Alleanza 3.0 è conferito al film NASRIN di Jeff Kauffman con la seguente motivazione: “scegliamo questo film per chi ha girato segretamente in Iran rischiando l’arresto e perché dall’impegno per la democrazia e la giustizia può nascere tanto. Un quadro completo di una donna che ha dedicato la propria vita alle donne iraniane e che attraverso il suo lavoro denuncia e combatte le ingiustizie della propria società.”
La menzione DAMSLAB assegnata dagli studenti del corso “analisi dei film” di UNIBO è conferita al film ONCE YOU KNOW di Emmanuel Cappellin, perché “con una lunga ed emozionante soggettiva sulla questione del cambiamento climatico il documentario ci mostra la realtà in modo diretto e incisivo, attraverso l’occhio sensibile e attento del regista. Evidenziando le fragilità globali dovute all’azione antropica, l’autore ci trasmette l’urgenza, l’angoscia e la volontà di agire di un’umanità al rendez-vous, con le conseguenze di un secolo di grandi errori.La profondità e l’importanza del tema trattato vengono messe in risalto anche nella sceneggiatura. La voce narrante intima e riflessiva del protagonista accompagna lo spettatore nella ricerca di un senso, dell’agire e della vita stessa, nell’orizzonte catastrofico di questa crisi. Attraverso le interviste rivolte a studiosi e dai dialoghi con le persone del luogo ciò è reso ancora più intensamente. L’ambiente realista sembra quasi rappresentare lo stato d’animo delle comunità incontrate attraverso inquadrature e sequenze che costruiscono quadri estetici ed emotivi delle diverse realtà che si confrontano con il cambiamento climatico e cercano di porvi rimedio mostrando capacità di resilienza agli eventi che si verificheranno e che sono già in atto. Avvolgendo il nostro sguardo e trasmettendoci il sublime bello e terrificante, il documentario ci include in un tutto di cui non vediamo i confini, la catastrofe, il futuro, le transizioni.”